Oggi è il 27 gennaio, per tutti il Giorno della Memoria. Manifestazioni di ogni genere commemorano ogni anno questo triste ricordo, che va ai lagher nazisti e al genocidio del popolo ebreo e di altre minoranze barbaramente perseguitate durante gli anni ’30 e ’40. Si tratta della più grave violazione dei Diritti Umani che si sia mai consumata su suolo europeo, con il consenso e l’indifferenza della società dell’epoca.
Al giorno d’oggi c é chi si divide tra chi vorrebbe lasciare andare per sempre le tragedie del passato e chi, invece, le rivendica come un valore, un monito per le generazioni future.
Per noi amanti dello sport Outdoor il tempo da dedicare ai ricordi scarseggia sempre, ma la montagna c’era così come gli uomini che l’anno amata. Sono loro, gli alpinisti che hanno guardato la storia da alpinisti, ad averci lasciato testimonianze che vale la pena leggere e rileggere.
Primo tra tutti, Primo Levi. Uno scrittore eccezionale e una mente che ci ha regalato moltissimo, su tutti i fronti. Era “un montanaro”, come si evince dall’intervista pubblicata su “Rivista di Montagna”n°61, nel 1984. Nell’intervista parla delle avventure di gioventù vissute sulle alpi piemontesi e cita l’amico Sandro Delmastro. A lui viene dedicato un racconto nel suo libro “Il Sistema Periodico”. Lo presenta come un uomo “fatto di ferro”, come il titolo del racconto stesso: “Ferro”.
Era uno studente come Primo, ma che rappresentava molto bene la generazione che di lì a poco avrebbe costruito la resistenza.
“Delle sue imprese parlava con estrema avarizia. Non era della razza di quelli che fanno le cose per
poterle raccontare (come me): non amava le parole grosse, anzi, le parole. Sembrava che anche a
parlare, come ad arrampicare, nessuno gli avesse insegnato; parlava come nessuno parla, diceva
solo il nocciolo delle cose.”
Levi ha continuato a frequentare la montagna sia prima che dopo la deportazione, ma non scriverà di montagna né di alpinismo. Scrive solo “Ferro”, un racconto in ricordo di quegli impulsi che lo portarono in montagna. Grazie al suo straordinario contributo, possiamo conoscere chi è stato Alessandro Delmastro, alpinista e amico di Primo Levi.
Dall’intervista pubblicata su “Rivista di Montagna”: “Al Sestrière non s’andava mai, perché c’erano le funivie, e le funivie erano peggio del demonio! Niente giacche imbottite, niente scarpe nuove, la guida del CAI serviva solo per fare l’opposto di quanto consigliava. Anche l’attrezzatura era minima: mia sorella mi aveva regalato un martello, un paio di moschettoni e tre chiodi. Questa era tutta la mia attrezzatura. Bisognava invece arrivare sempre al limite delle nostre forze, sia fisiche sia tecniche. Ricordo una Pasqua, quando Édouard Daladier aveva risposto jamais a Benito Mussolini. Voleva dire la guerra, ma noi non ci pensavamo. Partii con Delmastro e con Alberto Salmoni, a piedi di notte da Bard a Champorcher: il giorno dopo, con gli sci, e con 30 chili a testa negli zaini, dovevamo traversare fino alla cosiddetta Finestra di Champorcher, poi scendere, risalire la Valleille, raggiungere Piantonetto, puntare sul Gran Paradiso… Era un‘idea di Delmastro, il quale più si faticava più era soddisfatto. Io rinunciai già a Cogne”.
Alessandro Delmastro compare anche sulla guida del Gran Paradiso di Andreis, Chabod e Santi. Una variante che percorre la cresta Sud-Ovest della torre del Gran San Petro fu percorsa da lui e dalla sorella Gabriella nel ’38.
Primo Levi conclude definendo un’impresa “senza speranza” ricoprire di parole un uomo come Sandro Delmastro, un uomo che rideva dei monumenti e che non amava la retorica. Noi non possiamo che ringraziare per la lettura di queste pagine che parlano di lui e del suo amore per la montagna.
Un altro libro da avere e leggere assolutamente è “Il giorno delle Mésules. Diario di un alpinista antifascista” di Ettore Castiglioni. In questa raccolta troviamo tutti i manoscritti di uno dei grandi alpinisti degli anni ’30, che hanno scritto e fatto pubblicare dal Cai-Touring le guide “Pale di San Martino”, “Odle Sella Marmolada” e le postume “Dolomiti di Brenta” e “Alpi carniche”.
Nei suoi diari si ripercorrono tutti i punti salienti della sua vita, dalle avventure sulle Alpi, al tentativo del Fitz Roy, in Patagonia, fino all’attività clandestina sul confine svizzero, in cui si spese per salvare la vita di centinaia di profughi e, probabilmente, per cui venne imprigionato senza vestiti, perché non scappasse. Scappò, ma venne ritrovato morto assiderato, duecento metri sotto il Passo del Forno, sul confine svizzero.
Nell’inverno del 1931 scrive: “La libertà è l’unico mezzo per dare all’uomo il senso della responsabilità”.